WHERE DO YOU DRAG ME? - STORIE DELL'IMPREVISTO - 13 giugno - Alessandria - recensione

Imprevisti e ruoli che si impongono e si capovolgono. Questi i temi portanti di “Wher do you drag me?”:  cinque quadri che si susseguono e divertono in modo spiazzante con la rappresentazione di eventi improbabili ma paradigmatici. L’imprevisto domina tutte le situazioni, offrendo, ad esempio, la possibilità ad un noioso prefetto di sconvolgere la sua vita tranquilla per rigettarlo in una passione carnale e travolgente, che sola rende memorabile la sua esistenza. Sempre il caso domina il destino di una donna ricattata con i negativi delle foto del suo tradimento. Per fatalità proprio quei negativi, finalmente in suo possesso, le verranno scippati con la borsetta. Situazioni limite, ma rese credibili dalle reazioni umane e intrise di ironica debolezza dei personaggi, sempre sull’orlo dell’esasperazione.
I ruoli e la narrazione sono l’altro tratto comune di tutti i quadri, dominati sempre da uno o più narratori. In alcuni la voce che racconta è di un personaggio in scena che partecipa come osservatore esterno, come nel caso dell’episodio del ladro che trafuga, ignaro, i negativi prova di un tradimento. La voce narrante è furtiva e oscura, mentre tratteggia l’abilità del ladro gentiluomo che restituirà il materiale scottante alla fedifraga ricattata, e pare lei stessa agire nell’ombra.  In altri quadri i personaggi , agendo e parlando nell’ambito del loro ruolo, parlano di sé in terza persona, mantenendo tutto ciò che caratterizza la loro individualità. Così un marito, esasperato dal russare notturno della deliziosa moglie, discorre di sé con distacco formale, come se parlasse di altra persona, mantenendo però un accoramento del tutto intimo (e molto godibile per lo spettatore) per la vicenda che lo riguarda.
Anche nell’ultimo quadro l’escamotage dei personaggi, che raccontano di sé in terza persona senza mai uscire dai loro ruoli, è funzionale ad un’azione scenica che diverte e dà il senso del paradosso delle angherie di una nonna nei confronti del nipote ingiustamente vessato.
 Il  gioco dei ruoli è molto evidente nel primo episodio scenico, che vede uno stravolgimento nell’ambito dell’interazione. Una donna frustrata, casalinga e madre, costretta ad un’unica dimensione riduttiva di vita, tratta due vicini adulti come bambini capricciosi e impone loro tale ruolo al punto da ridurli ad un’involuzione caratteriale. I due regrediscono all’infanzia e diventano schiavi delle sciocche imposizioni della mamma acquisita. Da questo punto di vista i consigli opprimenti degli adulti ai bambini sembrano oltre modo ottusi e incomprensibili (“bevi il tuo latte”, “chiedi scusa”, addirittura un tormento).
Belle e originali le idee registiche che fanno di cinque pezzi brillanti e sapientemente scelti dei momenti di riflessione caustica sui casi fortuiti della vita e sulla stranezza che le circostanze imposte portano con sé.
Il taglio registico di Laura Bombonato privilegia dunque i ruoli in quanto trait d’union di una serie di vicende dominate dall’imprevisto.  I diversi momenti, nei quali la fatalità gioca un ruolo dominante, sono accomunati dal gioco della narrazione solo apparentemente esterna, laddove il punto di vista è comunque coinvolto e suggestionato, addirittura talvolta è il protagonista stesso.  In questo consiste il paradosso che crea ilarità e travalica ogni scontatezza. L’effetto è la sorpresa che interessa e mantiene naturalmente la tensione dello spettacolo.
Piacevole la recitazione, giusti i tempi e ben ottenuto l’effetto ironico.
Un pubblico numerosissimo e attento ha riso e applaudito di gusto. La rassegna “Voglia di teatro” al “Fatto bene una volta” riscuote un successo sempre maggiore e del tutto meritato.

Al prossimo giovedì. 

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