"Una Specie di Alaska" - 11/04 - Teatro Sociale di Valenza - Recensione

Una specie di Alaska è un atto unico di Harold Pinter ispirato ad un episodio del libro “Risvegli” del neuropsichiatra Oliver Saks , che ebbe in cura pazienti affetti da encefalite letargica, risvegliati solo alla scoperta di un farmaco a base di dopamina.

Deborah si risveglia dopo 29 anni di sonno forzato, con il corpo di una donna adulta e i ricordi di un’adolescente, desiderosa di incontrare il fidanzato,  di scherzare con le due sorelle e di essere protetta e amata dai genitori.
Sulla scena la camera di un ospedale e il medico (Nicola Pannelli)  che ha curato la donna per tutto il periodo della degenza. Il loro dialogo, difficile e a tratti stringato, riporta l’adolescente incredula ad una realtà che non può essere né emotivamente né razionalmente accettata.
Sara Bertelà è una ragazzina nel corpo di una donna e la sua inconsapevolezza si fa parola e riso adolescenziale. Parla di sé come una giovane appena affacciatasi alla vita con la certezza immortale di chi sa di avere ancora tutte le scelte davanti e la sua voce è quella di una sedicenne allegra che si definisce “ridolina”. La presa di coscienza è lenta e non graduale; ciò che Deborah scopre viene da lei subito dopo rinnegato, in quanto apparentemente impossibile, come la presenza della sorella Pauline (Orietta Notari), ormai adulta e irriconoscibile.

I dialoghi tra i personaggi sono misurati, mai eccessivi nella drammatizzazione e proprio nella contenutezza sta la tragedia umana dell’esistenza perduta. Le poche nozioni tra verità e bugia fornite a Deborah dal medico e dalla sorella sono un passaggio traumatico tra il mondo non cosciente del sonno, un’Alaska dal paesaggio sempre identico e dall’orizzonte infinito, ad una realtà diventata estranea e irrecuperabile.
La regia di Valerio Binasco concentra tutta l’attenzione sulla bravura degli attori, sulla loro capacità di esprimere non gridando e di alimentare, con la loro credibilità, la tensione emotiva in un contesto scarno e statico. La sensazione del trascorrere del tempo è data dal rumore di una goccia che cade continua, una condanna cui è impossibile sottrarsi, come è impossibile recuperare ciò che non si è vissuto.


Un’ottima interpretazione che mette lo spettatore di fronte ad un risveglio che si dipana come un incubo i cui particolari diventano sempre più agghiaccianti, sino ad indurre a preferire l’inconsapevolezza dello stato di incoscienza al ritorno ad una vita irriconoscibile. 
Nicoletta Cavanna


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